Vitamina D e calvizie, da tempo ci si chiede se ci sia una correlazione tra loro e in che termini. Un caso riportato da una specialista USA riapre la questione.
Vitamina D e calvizie: 30° Congresso ISHRS
Si è tenuto a Panama il 30° Congresso della Società Internazionale della Chirurgia del Ripristino dei Capelli (ISHRS). Tra i vari interventi degli specialisti spicca quello della dr.ssa Sharon A. Keene. La dr.ssa Keene ha riportato il caso di un suo paziente con estrema carenza di vitamina D che ha avuto una notevole ricrescita dei capelli in pochi mesi solo con l’integrazione di questa vitamina.
La pubblicazione
L’intervento della dr.ssa Keene si è rifatto alla sua recente pubblicazione su questo caso apparsa sull’organo ufficiale dell’ISHRS. In questa pubblicazione la dr.ssa Keene analizza il legame tra la vitamina D e la caduta dei capelli ed esamina il ruolo della vitamina D nella ricrescita dei capelli. La ricerca su vitamina D e alopecia androgenetica è ancora incompleta. In particolare si punta sull’integrazione come trattamento medico contro la calvizie in pazienti in cui è identificata una carenza di vitamina D.
Vitamina D: un quadro più ampio
La vitamina D, come le altre vitamine, sarebbe un «nutriente condizionalmente necessario», ma il termine vitamina è ritenuto improprio. Questo perché è considerata in pratica un ormone steroideo. Un tempo si pensava che fosse coinvolta soprattutto nel metabolismo del calcio e del fosforo che è parte integrante della salute delle ossa.
Negli ultimi decenni sono stati però identificati molti effetti fisiologici. Questi ricoprono le
funzioni immunitarie, neurologiche, cardiovascolari e metaboliche, solo per citarne alcune.
Fig.1: il paziente del caso qui illustrato all’inizio della terapia per la carenza di vitamina D (immagine tratta dalla pubblicazione qui commentata).
Il caso
Un paziente di 41 anni si è fatto visitare dalla dr.ssa Keen per verificare se fosse idoneo al trapianto di capelli. Soffriva di calvizie dall’età di 22 anni con una storia familiare di alopecia androgenetica di tipo avanzato con zio materno di classe 6 della scala Hamilton . Il paziente mostrava una calvizie di classe 5-6 (Fig.1). Non aveva provato né il minoxidil topico né la finasteride per via orale. La sua calvizie era stabile da 2 anni.
Carenza di vitamina D e calvizie?
Solo 6 settimane prima gli era stata diagnosticata una grave carenza di vitamina D con un valore sierico di 25(OH) vitamina D (calcidiolo) di 12 ng/ml. Aveva quasi completato un ciclo di 6 settimane di dosaggio settimanale di 50.000 UI di vitamina D3. Questo sarebbe stato seguito da 10.000 UI/settimana per 8 mesi. Sei mesi dopo, le foto di controllo mostravano una significativa ricrescita dei capelli della parte frontale e della parte mediana dello scalpo.
Niente minoxidil e finasteride
In vista del trapianto al paziente era stata prescritta dalla dr.ssa Keene la classica terapia a base di minoxidil topico e finasteride orale. Questo per ridurre il numero di unità follicolari da impiantare grazie all’auspicata ricrescita di alcuni capelli nella zona ricevente. Sorprendentemente il paziente riferiva di aver deciso di non far ricorso né alla finasteride né al minoxidil topico e di aver continuato solo integrando la vitamina D3. Il suo livello sierico di 25(OH) vitamina D al momento del successivo controllo si era normalizzato a 50,6 ng/ml.
Fig.2: il paziente sei mesi dopo l’inizio della terapia di mantenimento per la carenza di vitamina D (immagine tratta dalla pubblicazione qui commentata).
Trapianto ridotto
Alla visita effettuata in seguito prima del trapianto gli è stato consigliato di non prendere in considerazione il frontale. Questo perché la terapia con vitamina D sembrava aver raggiunto da sola un’efficace copertura estetica dell’area frontale. Pertanto per il trapianto ci si sarebbe limitati ad intervenire sul vertice (Fig.2).
Post-trapianto
In seguito, il paziente ha continuato a rifiutare l’uso della terapia medica per mantenere i capelli. Ha avuto una copertura soddisfacente nell’area del vertice grazie al trapianto e un anno dopo ha mantenuto un’eccellente copertura del frontale, Questo basandosi esclusivamente sulla correzione della carenza di vitamina D. A tutt’oggi il paziente non ha avuto un’ulteriore progressione della calvizie (Figura 3).
Fig.3: il paziente dopo il trapianto di capelli sul solo vertice (immagine tratta dalla pubblicazione qui commentata).
Vitamina D e calvizie, altri casi simili
Sono stati riportati in letteratura soli altri due casi simili. Il primo riguarda una donna di 34 anni con una grave carenza di 25(OH) vitamina D a 12 ng/ml, che si è presentata con una storia di 4 anni di progressiva, graduale e diffusa perdita di capelli; la paziente aveva livelli normali di zinco (Zn), ferro (Fe) e ormoni tiroidei. Il secondo caso è quello di donna sudanese di 45 anni che aveva sperimentato un graduale e diffuso diradamento dei capelli per 4 anni prima della visita. In questo periodo si era trasferita temporaneamente in Arabia Saudita e trascorreva la maggior parte del tempo in casa. Anche i suoi esami di laboratorio erano normali tranne che per un livello sierico di 25(OH) vitamina D di solo 9 ng/ml, mostrava pertanto una grave carenza.
Recupero con sola vitamina D3
In entrambi i casi riportati, il trattamento con 50.000 UI di vitamina D3 per 6 settimane e 3 mesi rispettivamente, seguiti da 1.000 UI/giorno come dose di mantenimento, ha portato a una notevole ricrescita dei capelli e ha risolto lo stato di carenza. In tutti questi casi, i pazienti non hanno ricevuto altro trattamento topico o sistemico. Questi risultati conducono alla conclusione che questi pazienti condividono una diagnosi di alopecia non cicatriziale associata a carenza di vitamina D.
Vitamina D e calvizie: il ruolo del recettore
La ricerca ha sin qui messo in evidenza il ruolo del recettore della vitamina D (VDR) a livello di follicoli piliferi. Il VDR è un regolatore negativo di un numero di alcuni geni e la perdita della sua attività soppressiva potrebbe potenzialmente portare alla «derepressione» o all’attivazione di tali geni con conseguente alopecia. Si ipotizza che questo processo possa attiva l’inibitore del percorso Wnt, noto come SFRP1, nonché gli inibitori di PTHrP (proteina correlata all’ormone paratiroideo). Il legame del VDR al DNA è una funzione cruciale del VDR nella regolazione del ciclo pilifero.
Alopecia dovuta al recettore
Secondo le attuali conoscenze, le mutazioni del VDR che causano difetti nel legame al DNA, o nell’etero-dimerizzazione di RXR (recettore dell’acido retinoico) o l’assenza del VDR, causano alopecia. Invece, le mutazioni che alterano esclusivamente l’affinità del VDR per il calcitriolo, che è la forma attiva della vitamina D3, oppure interrompono le interazioni con i coattivatori, non causano alopecia. Il VDR sembra svolgere un ruolo importante nel ciclo del follicolo pilifero regolando il ciclo di crescita, inducendo lo sviluppo di capelli anagen maturi e permettendo alle cellule staminali del «bulge» (la «sacca» che contiene le staminali) di replicarsi.
Sembrerebbe quindi che la vitamina D, al contrario del VDR, non sia necessaria per la crescita dei capelli, tuttavia le ricerche rivelano una forte associazione tra i livelli sierici di 1,25(OH) vitamina D (calcitriolo, la forma attiva) e l’espressione del VDR.
L’integrazione serve?
Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto uno studio sui gemelli omozigoti. I gemelli che hanno integrato con 2000 UI giornaliere di colecalciferolo (vitamina D3) per 60 giorni hanno mostrato un aumento del 65% dei livelli sierici di 25(OH) vitamina D. In particolare hanno mostrato un’espressione notevolmente maggiore del recettore VDR. Considerando l’impatto che l’integrazione di vitamina D3 può avere sull’aumento dell’espressione del VDR, si può ipotizzare che la sua carenza dovrebbe avere un impatto negativo sull’espressione del gene VDR nei follicoli dei capelli e quindi influire negativamente sul loro ciclo di crescita.
Fig.4: livelli troppo bassi o troppo alti di vitamina D possono portare a un telogen effluvium.
Vitamina D e vari tipi di calvizie
Nell’ultimo decennio diversi studi hanno valutato la relazione tra la carenza di vitamina D e alcuni tipi di alopecia. Questi studi sembrano confermare un’associazione tra bassi livelli di vitamina D e l’esistenza e la gravità dell’alopecia areata, della calvizie femminile e del telogen effluvium. Altri studi hanno rivelato un’associazione tra alti o bassi livelli di vitamina D col telogen effluvium, suggerendo che livelli sia troppo alti che troppo bassi potrebbero portare al telogen effluvium (Fig.4). Un recente studio condotto su 50 giovani uomini con calvizie comune precoce confrontati con 50 controlli di pari età, ha confermato un’associazione tra la carenza di vitamina D e l’insorgenza precoce e la gravità della calvizie. Mancano però degli studi su persone con calvizie e carenza di vitamina D per stabilire le circostanze o la percentuale di pazienti che possono ottenere ricrescita o inversione della calvizie con il trattamento e la normalizzazione dei livelli ormonali.
Vitamina D e calvizie: la carenza è diffusa
Per una serie di ragioni, la carenza di vitamina D ha un’alta prevalenza nella popolazione mondiale. Si stima che siano oltre 1 miliardo le persone carenti di vitamina D. Per la popolazione USA si parla del 41%, percentuale che sale all’80-90% in alcuni paesi del Medio Oriente e che è stimata intorno al 70% in Europa (Fig.5).
I gruppi di persone particolarmente a rischio sono quelli che lavorano in ambienti chiusi, gli anziani che si trovano in casa, le persone con pelle molto scura, i vegani e le donne in gravidanza e perfino coloro che utilizzano sempre filtri solari quando sono all’aperto.
Altri fattori sono le regioni del mondo in cui il caldo tiene le persone al chiuso o le norme e le mode in materia di abbigliamento indicano di coprire il corpo per evitare l’esposizione al sole.
Fig.5: Una mappa globale dei livelli serici medi di vitamina D negli adulti. In verde paesi con livelli >75 ng/ml, in giallo 50-74 ng/ml, in arancione 25-49 ng/ml, in grigio dati non disponibili (immagine tratta da Red Burn).
Alimenti con vitamina D
Pochi alimenti contengono naturalmente una quantità di vitamina D sufficiente a soddisfare il fabbisogno giornaliero. Alcuni cibi sono arricchiti con questa vitamina per prevenirne la carenza. Le fonti di alimenti ricchi di vitamina D presenti in natura sono: olio di fegato di merluzzo, salmone, tonno, pesce spada, sardina, anguilla, caviale o uova di pesce, fegato bovino, funghi, tuorlo d’uovo. I cibi più comuni addizionati con vitamina D sono: latte, succo d’arancia, yogurt, tufu e cereali.
La luce solare
La maggiore fonte naturale di vitamina D per l’uomo è la vitamina D3 prodotta nella pelle dall’azione dei raggi solari raggi ultravioletti-B (UVB) (Fig.6) che interagiscono con la provitamina (pro-ormone) colecaciferolo. Un’adeguata esposizione al sole non sempre è possibile se si vive in luoghi in cui la luce del sole è limitata per buona parte dell’anno. Viceversa, dove le temperature diurne sono troppo elevate le persone tendono a stare al chiuso. Le persone di pelle più scura, avendo più melanina, hanno bisogno un’esposizione al sole di durata superiore per sintetizzare vitamina D. Questo perché la melanina scherma i raggi UVB. Per le persone di pelle chiara l’effetto collaterale indesiderato dell’esposizione al sole è l’aumento del rischio di danni cutanei, tra cui il cancro della pelle.
Altre cause di carenza sono le malattie che inibiscono l’assorbimento dei grassi (la vitamina
D è liposolubile) come il morbo di Crohn, la celiachia o la fibrosi cistica. Le malattie renali possono influenzare la capacità dei reni di idrossilare e attivare il pro-ormone .
Fig.6: I raggi UV fanno sintetizzare alla pelle vitamina D, ma arrecano danni cutanei se non schermati adeguatamente.
I giusti livelli
Le linee guida per la pratica clinica del 2011 dell’Endocrine Society hanno indicato in 30-100 ng/ml l’intervallo auspicabile per la 25(OH) vitamina D. Livelli tra 21-29 ng/ml sono considerati insufficienti e sotto i 20 ng/ml si parla di carenza che richiede un’integrazione più consistente. Negli ultimi due decenni la dose giornaliera raccomandata per il consumo e l’integrazione di vitamina D è stata modificata. Questo è avvenuto grazie alla scoperta delle importanti funzioni sulle ossa e su altri organi e tessuti di questo ormone. Studi clinici hanno mostrato che livelli sierici di 25 (OH) vitamina D superiori a 50nM o ai 30 ng/ml sono associati a maggiori benefici per la salute.
Lo studio VITAL
Recentemente lo studio VITAL dell’Università di Harvard su vitamina D e omega 3 ha valutato l’effetto di queste due integrazioni su oltre 25.000 uomini e donne di età superiore ai 50 anni. Questo studio ha preso in esame le malattie cardiovascolari, il diabete, il cancro, le malattie autoimmuni e la mortalità generale riscontrando gli effetti positivi di questa integrazione. Un riscontro importante di questo studio può riguardare i pazienti che soffrono di perdita di capelli per cause autoimmuni. Infatti gli adulti che nello studio VITAL hanno assunto un’integrazione di 2.000 UI/giorno di vitamina D3 per 5 anni hanno registrato una riduzione del 22% delle malattie autoimmuni. La combinazione con integratori di omega 3, ha fatto registrare una riduzione del 30% delle malattie autoimmuni. Questo anche se entrambi i gruppi di trattamento e di controllo avevano un livello medio di 25(OH) vitamina D iniziale di circa 30 ng/ml, quindi non presentavano carenza.
Tutti questi dati suggeriscono che i benefici per la salute derivanti da un’integrazione di vitamina D si ottengono posizionandosi su livelli superiori alla semplice «sufficienza».
Dosaggi raccomandati
Gli specialisti in questo campo sottolineano che le dosi giornaliere raccomandate in passato, inferiori a 1.000 UI/giorno, risultano inadeguate a curare o a invertire in modo significativo i livelli di insufficienza riscontrati in molte popolazioni. Le linee guida per la pratica clinica dell’Endocrine Society suggeriscono una dose massima tollerabile per il mantenimento di 4.000 UI/giorno di vitamina D3 sopra gli 8 anni di età e di 10.000 UI/giorno per i bambini e gli adulti dai 19 anni in su che abbiano carenza. Questi dosaggi non devono essere superati senza controllo medico.
Effetti collaterali
La vitamina D migliora notevolmente l’assorbimento di calcio e fosforo nel tratto gastrointestinale. L’eccessivo assorbimento di questi elementi può provocare ipercalcemia e
una serie di sintomi correlati, tra cui confusione, dolore addominale, vomito, poliuria, polidipsia, dolori addominali, vomito e disidratazione. Livelli di vitamina D sierica superiori a 150ng/ml sono considerati tossici.
Sovradosaggio
Esaminando però la letteratura pubblicata sulla tossicità della vitaminaD, i dati suggeriscono che è relativamente difficile arrivare alla tossicità con le dosi di vitamina D comunemente raccomandate. Per esempio, un gruppo di adulti sani che riceveva 50.000 UI di vitamina D2 ogni 2 settimane per 6 anni ha mantenuto livelli sierici di 25(OH) vitamina D compresi tra 40-60 ng/ml e nessuna evidenza di tossicità. La vitamina D2 ha comunque solo un terzo della capacità di aumentare i livelli sierici di 1,25(OH) vitamina D (calcitriolo, la forma attiva). Un risultato simile è stato però riscontrato in un gruppo di adulti che hanno assunto fino a 20.000 UI di vitamina D3 al giorno per quasi un anno senza alcuna evidenza di tossicità. Alcuni di loro hanno raggiunto il livello limite di 150 ng/ml, ma i livelli di calcio sierici erano nella norma.
Fig.7: Tra i cibi più ricchi di vitamina D ci sono alcuni pesci tra questi le comuni sardine.
Effluvio con livelli elevati?
La dr.ssa Keen nella pubblicazione riporta anche il caso di un paziente con un livello elevato di vitamina D di 158 ng/ml. Il paziente integrava con 4.000 UI giornaliere senza aver controllato i suoi livelli iniziali di 25(OH) vitamina D. Era inoltre un grande consumatore di sardine (le sardine in scatola forniscono 300 UI di vitamina D3 per 100g, Fig.7). Inoltre per motivi di lavoro era spesso all’aperto di giorno ed esposto alla luce solare. Il livello di calcio sierico risultava normale, ma il paziente lamentava un aumento della caduta dei capelli. Questa ha iniziato a diminuire poche settimane dopo aver interrotto l’assunzione di vitamina D. Il caso di questo paziente e il possibile telogen effluvium da ipervitaminosi D sottolinea il rischio di un’integrazione empirica di vitamina D senza effettuare un esame del sangue iniziale.
Il caso in questione evidenzia anche come l’eccesso può portare a nuocere ai capelli quando la corretta integrazione può invece favorirne la crescita.
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